Recensioni Epike

Io sono la montagna di Michele Lupo, ovvero realtà che non si vorrebbero ammettere, ma che ci sono

Allora, proverò a scrivere qualcosa di sensato perché quello che vi propongo oggi è un libro estremamente difficile da riassumere, nonostante io ci voglia provare. E' un libro che mi è stato proposto di leggere e recensire da poco, quindi le mie impressioni saranno belle a caldo come questo clima estivo.

"Io sono la montagna" è un romanzo breve - sono un centinaio di pagine - scritto sotto forma di lettera. Una lettera che racconta le tante storie che un uomo può vivere, le esperienze che lo hanno plasmato e portato, nel bene e nel male, ad essere la persona che è nel presente. La voce narrante è quella di un uomo, ex carcerato, che come lavoro portava in Francia e in Germania gli immigrati clandestini arrivati in Italia. Rivolto a Vera, questa donna entrata nella sua vita da poco, inizia con obiettivo di spiegarle come è finito in carcere e cosa nella sua vita è andato storto; alla fine rivela un mondo completamente diverso da quello che la maggior parte di noi conoscono. I fili dei vari discorsi sono gestiti egregiamente dall'autore: li tira tutti un po' per volta - il rapporto con la famiglia, il carcere, l'esperienza con gli immigrati, la vita che lui stesso ha avuto come immigrato in Germania, la relazione con il paese d'origine. Non perde niente, gestisce tutti con agilità che ho trovato stupefacente. Pian piano tutte queste piccole storie si sviluppano e si concludono incastrandosi tra di loro  e mostrando a tutto tondo la figura di un protagonista controverso. Alla fine tutto si svela e il lettore resta incollato fino all'ultima pagina per poter capire. Perché lo stile fila alla perfezione, è un immenso monologo interiore che non vacilla mai. 


Il libro parla senza sconti di realtà estremamente complicate. Parla degli occhi dei migranti che hanno visto cose che non possiamo neanche immaginare, parla del carcere e di quanto ti possa cambiare. Ammetto che alcune scene mi hanno turbata molto per la loro durezza: non te le aspetti e l'autore te le piazza davanti agli occhi prima che tu possa chiuderli o girarti dall'altra parte. Ma ripensandoci, questa è la forza del libro, per quanto io ci abbia litigato in quei punti; non è perché io non voglia sapere o pensare delle violenze sessuali in carcere che esse diventano meno reali e meno brutali. Mi sono accorta che a volte ci rifiutiamo di capire qualcosa che si trova lontano da noi, ma ciò è sbagliato. Perché così permettiamo che alcune realtà terribili prosperino, basta che siano lontane dai nostri occhi. E spesso ci rifiutiamo di capire che ciò che un immigrato clandestino che è scappato da un paese in guerra possa aver vissuto e siamo pronti a desiderare che venga rispedito indietro pur di non doverli vedere vicino a noi. 

Questo libro mi ha aperto gli occhi su tante cose e ne sono grata. Ci ho litigato, a volte ho combattuto contro l'immedesimazione che mi veniva spontanea con il protagonista, ma alla fine mi sono resa conto della ricchezza che mi ha regalato: il rifiuto che è scattato in me ad un certo punto mi ha spinta a riflettere tenacemente e penso che questo sia la cosa più importante e soprattutto una cosa che mi porterò dietro per molto, molto tempo.


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